
La fotografia di esplorazione urbana
Questo guest post è stato scritto da Giacomo Doni.
Take nothing but pictures, leave nothing but footprints.
(Non prendere niente all’infuori delle immagini fotografiche, non lasciare niente all’infuori delle impronte).
Questa frase è un mantra che ci dobbiamo ripetere sempre nella nostra testa. Sempre. Tutte le volte che prendete la vostra macchina fotografica per fare una sessione di esplorazione urbana. Questo movimento è stato lanciato da Ninjalicious che, a 10 anni dalla sua scomparsa, non possiamo non menizonare in un articolo come questo e ringraziare per il suo grandissimo contributo che ci ha donato.
Permettete che mi presenti: mi chiamo Giacomo Doni e fotografo luoghi abbandonati da 9 anni. Di solito, dopo aver detto una cosa del genere, vengo accolto dalla solita domanda: “Perché fai questo genere di foto?” E quale miglior posto se non il blog di un amico fotografo non solo per rispondere, ma anche per mostrare a voi lettori questa splendida corrente fotografica.
La mia passione per la fotografia di esplorazione urbana
Tutto è cominciato in una noiosa giornata estiva dove, casualmente, mi sono imbattuto nel sito di uno dei più grandi fotografi del genere: Henk Van Rensbergen. Una raccolta vastissima di edifici abbandonati, dalle fabbriche ai sanatori, tutti immortalati con la freddezza ed eleganza della pellicola in bianco e nero. Non credevo ai miei occhi. Una raccolta di stanze vuote, materiale medico, residui umani nei luoghi della loro vita. Quel silenzio che si ascoltava dalle foto era incredibile. Eccitante. Dopo aver visto quegli scatti, rimango ancor di più colpito dalla potenza della fotografia: rappresentare il vuoto per raccontare la sua storia.
Dentro quelle pareti spoglie e sgretolate si viveva la solitudine. Ma si immaginava la loro storia. Che fine avrà fatto adesso chi abitava questi luoghi? Cosa avranno vissuto queste pareti? Rappresentare il vuoto per raccontare la sua storia.
Ne sono rimasto rapito. Non ho voluto aspettare. Sapete quando il cuore sceglie di guidarvi senza farvi pensare a tutto quello che ti circonda? Ecco, questo è proprio quello che ho provato. Ho iniziato da un manicomio abbandonato e da lì non mi sono più fermato. Avevo trovato un soggetto incredibile sia a livello visivo che emotivo. Rimasi sconvolto dal manicomio tanto da volerlo continuare a raccontare.
Le mie fonti d’ispirazione
Cominciarono così molte ricerche che mi hanno portato a conoscere grandissimi personaggi che voglio condividere con voi:
- Shaun O’Boyle, fotografo inglese, condivide in questo link una vera e propri lezione di fotografia su cosa cercare e cosa fotografare dentro i luoghi abbandonati.
- Il fotografo statunitense Rob Dobi che ci cattura con il suo minimalismo.
- Gina Soden, artista inglese e amica, abilissima nel rappresentare il silenzio.
Ma parliamo solo di fabbriche ed ospedali? Certo che no, anche di politica: il Fascismo abbandonato ci fa viaggiare fra i residui architettonici della famosa dittatura italiana mentre il lavoro di Rebecca Bathory ci mostra i residui dell’altra fazione, quella comunista. Voglio segnalare anche un documentario, ancora non in distribuzione, di un gruppo di miei amici spagnoli che possiamo definire come il primo video sull’urbex (l’esplorazione urbana): Buscadres del olvido. Una serie di testimonianze ed interviste ad alcuni fotografi europei di questo genere, per l’Italia sono presenti Elvira Machiavelli e anche io.
Questi sono alcuni dei nomi che mi hanno particolarmente colpito, ma vi posso assicurare che i soggetti fotografati possono essere fra i più disparati.
Ho basato la mia personale ricerca sui vecchi manicomi italiani riuscendo a documentare ben 14 strutture, ma anche maturando contatti che mi hanno permesso di arricchire le foto con i racconti di quei luoghi.
È così diffuso questo genere di fotografia? Sì, è un fenomeno silenzioso, ma molto attivo. Ha regole ferree, perché la frase che ho scritto all’inizio è una vera e propria legge. Il rispetto per questi luoghi prima di tutto.
Come immortalare i luoghi abbandonati
Il panorama è molto vasto, ma deve scontrarsi con due mostri decisamente letali: il vandalismo e il tempo. Molti fotografi estrapolano coordinate di questi edifici per poter entrare dentro e rubare, o anche distruggere quello che possono trovare. Cancellando la storia. Cancellando il loro passato. Quello che troviamo in questi luoghi non è nostro, ci è stato lasciato e così dobbiamo fare noi. E quello che non riescono a fare i vandali, spesso, lo fa proprio il tempo, sgretolando le loro strutture.
Io ho scelto di muovermi in legalmente, scrivendo una richiesta di accesso per poter essere accompagnato al suo interno. E consiglio sempre a tutte quelle persone che si avvicinano per la prima volta a questo genere fotografico, di non muoversi irresponsabilmente: l’accesso legale ci permette di stringere contatti, di fare rete, di poter pubblicare liberamente il nostro materiale fotografico, ma soprattutto di farcelo raccontare dalle persone che ci accompagnano all’interno e che spesso l’hanno vissuto. Perché è quello che dobbiamo fare, raccontare con le immagini la loro storia per non farla morire, raccontare attraverso il loro silenzio quello che un tempo accadeva al suo interno. Rappresentare il vuoto per raccontare la sua storia. E rendere immortale la loro esistenza con i vostri scatti.
Quali emozioni vi hanno suscitato le fotografie? Vi piacerebbe immortalare luoghi abbandonati? Se vi è già capitato, cosa avete provato?
Giacomo Doni è un fotografo di esplorazione urbana, racconta storie attraverso il silenzio dei luoghi abbandonati.
Web: www.giacomodoni.com
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Tags: Esplorazione urbana
Ciao. Articolo molto interessante!!
Io ufficialmente ho visitato 3 luoghi abbandonati (un quarto abbiamo dovuto rinunciare perche’ murato), E piu’ di una volta una domanda che mi e’ stata fatta (da non fotografi), e’ stata: ma cosa ci trovi a fotografare questi posti?